Pasquale De Luca narratore secondo Gaetano Antonio Bursese

PASQUALE DE LUCA NARRATORE

Brevi note

Il   prof. Pasquale De Luca mi onora della sua amicizia  ormai da lungo tempo; con lui collaboro dal 2004  nel Concorso Internazionale di Poesia “Tropea Onde Mediterranee”, l’evento culturale forse più importante di Tropea,  da lui fondato     (nell’anno 2003), ed egregiamente gestito e diretto, con    sempre maggiore successo, sia in ambito locale che nazionale.

Potrei  dire quindi di conoscere ed apprezzare   tanto l’uomo quanto l’artista De Luca. Dell’uomo ho potuto    prendere atto della   sua forte personalità,   del suo  carattere amabile ed aperto,  della   disponibilità e della gentilezza verso tutti ed infine  del suo   rigore   nel rispetto di quei valori civili  e morali   in cui egli crede e  di cui  egli  è profondamente permeato, come del resto la sua stessa opera artistica e letteraria ne è testimone.

Come sapete  Pasquale  De Luca,  già professore di materie letterarie nelle scuole medie calabresi,  si è imposto sia alla critica  che  al pubblico dei lettori, quale poeta prima e quale narratore poi, collaborando altresì con numerose riviste , giornali  e   periodici a diffusione nazionale , in cui ha pubblicato  numerose volte  poesie, saggi e racconti, riscuotendo    successo, adesioni  e  simpatie, tanto che alcuni dei  suoi componimenti si trovano sovente inseriti nelle antologie poetiche d’Italia; in questa sede mi limito a ricordare solo alcune di queste sue opere, significative espressioni della sua complessa personalità umana, poetica ed artistica: da “Tristi le ore” ( Carello Editore) del 1994, a “Fantasie poetiche-un pensiero d’’amore x amore –poesie” del 2007( Meligrana editore); nonché “Io non capisco” (Meligrana editore ) del 2007. Numerosi sono il premi letterari vinti dal De Luca poeta, definito  di volta in volta, come “il poeta contadino” ed “il poeta dell’anima e della natura”.

Nel 2011 Pasquale ( peraltro già autore di   riusciti racconti) debutta , per così dire, nel settore della grande narrativa, pubblicando per i tipi della Meligrana Editore il suo primo romanzo  intitolato “La terra di Filomena”, che ottiene subito grande consenso di pubblico e di critica, e con   il quale egli poi  vince il premio letterario  “Pasquino Crupi” per la narrativa, di Bova Marina.     Sempre con lo stesso editore, nel 2013 , De Luca  pubblica “I figli di Filomena”, completando, per così dire, la “ saga”, nel 2017, con il suo terzo romanzo : “ Filomena racconta il peccato”. Con quest’ultima opera egli ottiene la vittoria nel  Premio letterario  di Rogliano Calabro, vincendo il   concorso “Le parole arrivano a noi dal passato”.

Questa trilogia narrativa di Pasquale De Luca  a mio avviso è configurabile  appunto  come  una “saga”,   intesa  come racconto o storia romanzata di Filomena   e della sua  famiglia, che si snoda    nel  succedersi di più generazioni e  che si svolge   nella piccola   ma bellissima città di Tropea, a partire dall’ultima guerra mondiale fino ai   nostri giorni. Non v’è dubbio che l’A. attraverso il racconto delle vicende di Filomena, dei suoi figli ed anche dei suoi nipoti, abbia  inteso far conoscere al lettore avvenimenti, anche importanti  e magari  epocali ( come la guerra)   che hanno interessato e coinvolto Tropea e la sua zona,  nel cui contesto,   i suoi personaggi , ancorché di umilissima estrazione sociale,    hanno   pur  vissuto le loro umane vicende,  non importa se  obiettivamente   modeste come le persone  che ne erano protagoniste. La critica al riguardo ha anche parlato di romanzo storico, sia pure con  diverse accezioni e significati. In proposito  devo ricordare che i   romanzi della nostra Trilogia  sono stati più volte oggetto di approfondite ed esaustive  recensioni,  talora molto interessanti, che ne  hanno evidenziato  con compiutezza  le caratteristiche,   le novità ed i pregi artistici e letterari.

In definitiva,   questa per così dire   microstoria di Filomena e dei  suoi familiari   è stata proposta ed  esposta dall’A.  in un ambito  storico  ben più ampio ed importante  ( la c.d. macrostoria), collocato,  in modo ben definito, nel periodo della seconda guerra mondiale, delle dittature, del secondo dopoguerra nonché  della ricostruzione,  per passare poi   agli avvenimenti successivi , come le vicende del   ’68 fino a giungere quasi ai nostri giorni. Si tratta insomma di anni di grandi travagli e di trasformazioni epocali, che hanno interessato la piccola Tropea come l’Italia e talora   il mondo intero, in  cui hanno agito, operato  e vissuto  gli umili personaggi del racconto.   Molti lettori (magari i meno giovani) però sono stati attratti proprio da tali       vicende, che hanno riconosciuto  e rivisitato – sia  pure  attraverso le modifiche imposte dalle “licenze poetiche”  dell’autore-   come periodi o frammenti  della loro vita trascorsa, quando magari erano ancora  giovani di belle speranze. Tutto ciò denota, a mio parere, il vivo  interesse e  l’attualità dei 3 romanzi, anche in relazione alla lingua usata  nel racconto, in cui  sono inserite parole dialettali o rare del nobile e querulo idioma tropeano, magari non più usate, nel gergo dei contadini ovvero della gente umile, legata al lavoro dei campi  ed al ritmo   delle stagioni. Si tratta insomma ( come efficacemente  sottolineato dalla Preta)…..” di termini concreti, mai astratti, che svelano il “piccolo mondo degli umili” di cui l’opera di De Luca diventa un vero e proprio Manifesto verista”. Del resto la rivisitazione dei dialetti ed il loro impiego nella narrazione è un  evento  ritornato di  grande attualità nella letteratura contemporanea,     che trova diffusione  , anche in altri contesti regionali ( mi riferisco in particolare ai romanzi di Camilleri che hanno avuto ed hanno ancora  vasto successo e popolarità, anche al di fuori della Sicilia, in ambito nazionale, nonostante le numerosissime  parole in siciliano inserite nel testo ).

Altra problematica evidenziata dalla   critica   riguarda  i rapporti tra il De Luca poeta ed il  De Luca narratore per stabilire fino a che punto l’uno abbia  influenzato o condizionato l’altro. A mio avviso – ribadendo quanto sostenuto in altra occasione- Pasquale De Luca non ha mai cessato di essere poeta, tenuto conto sia della sostanza che della forma del suo ampio corredo narrativo.  Un’aura lirica e poetica, una sorta di nostalgia, avvolge e circonda assai spesso i personaggi sia  principali che secondari, che anche per questo appaiono profondamente veri nella loro sofferta umanità, nella loro continua lotta contro le avversità della vita.  Momenti lirici si trovano ad esempio,  nella descrizione dei paesaggi e della natura in genere, sempre presenti di solito nell’aperture dei capitoli o quando si introduce nella narrazione una nuova vicenda. Molte volte l’Autore parla della Luna o dell’Acqua , come se si trattasse di vere e proprie  deità , con valenza purificatoria e catartica; si cita spesso, al riguardo,  l’evocazione della Luna come “ misteriosa protettrice degli amanti “ ( v. Preta) nella prima e bellissima  scena d’amore tra Ciccillo e Filomena, che si svolge   tutta al riparo e con la complicità della soffusa luce argentea della Luna,  la “Casta Diva” di Belliniana memoria propizia agli   innamorati ed a tutti coloro che si  amano.

Ma anche  sotto il profilo  formale della scrittura, della strutturazione del periodo, dell’uso delle figure retoriche, i tre romanzi tradiscono la   provenienza  del loro autore dal mondo della poesia.   Da notare il  non infrequente  uso di anafore, che com’è noto, sono costituite da una figura retorica che  si esplica nella ripetizione di una o più parole all’inizio di frasi o di versi successivi, per sottolineare un’immagine, un concetto  o anche per provocare un particolare effetto. Nello specifico però, attraverso tali ripetizioni si accentua  il ritmo del racconto, che talora diviene incalzante, mentre  si percepisce  non di rado    anche un filo d’ironia  , che spesso   s’insinua  nelle pieghe della narrazione  di vicende   anche   drammatiche , ma  che proprio per questo    si colorano di verità e di umanità.  In effetti l’ironia è un’ulteriore chiave di lettura dei  romanzi del Nostro, perché essa denota  oltre che  levità di spirito, quel “non prendersi sul serio” che costituisce spesso una  filosofia di vita, che aiuta a  superare o magari solo a sopportare le non poche  avversità di cui è lastricato  l’umano cammino.

In definitiva  l’A.  nel suo racconto non  bada  a   copiare  il vero ( che ha sempre qualcosa di prosaico) , ma lo inventa e lo ricrea secondo i canoni della sua fantasia e della sua sensibilità estetica, in modo da  coinvolgere il lettore  , fino a farlo quasi partecipe del fatto narrato. Questo, per un narratore, è una  grande meta, per il lettore l’appagamento delle sue aspettative d’interesse nella lettura, che non è certo noiosa, ma sempre stimolante e propositiva.

Mi preme ancora rilevare un altro non secondario aspetto della “poetica” del ns. A. costituito dalla connotazione di positività e di apertura verso il futuro, che in sostanza anima i suoi personaggi, che non si arrendono alle avversità che su di loro si abbattono, ma lottano sempre per un avvenire migliore nel quale essi in definitiva credono. Insomma l’A. crede nell’avvento di una società migliore, più giusta e progredita, senza previlegi ed ineguaglianze sociali. Ho già avuto occasione di notare, al riguardo, che i figli di Filomena, nonostante la loro umile provenienza da quel  mondo contadino arcaico , statico ed immutabile, riescono a sollevarsi socialmente, diventando Lucia, maestra e Luca avvocato.  Ben diverso, purtroppo, è il pessimismo di molti altri scrittori ed autori calabresi, che non sanno fare altro che  sottolineare, magari enfatizzandoli,   gli aspetti negativi della loro terra, sempre dipinta   a fosche tinte,  quasi che nulla di buono da essa provenga o possa scaturire. Si tratta, il più delle volte, non  di manifestazione di coraggio o impegno civile , ma di mero e vieto provincialismo, che si  risolve  spesso in una sorte di  autodenigrazione, di disprezzo di sé stessi, caratteristica questa che ancora affligge buona parte dell’intellettualità e della cultura  calabrese e meridionale in genere. Al riguardo è proprio di questi giorni la

c.d. lettera aperta di Andrea Camilleri al giornalista de La Repubblica Francesco Merlo, autore dell’articolo-video “Da Genova a Messina, le differenze di un’Italia flagellata” . Con tale lettera   lo scrittore siciliano esprime a ragione  la propria indignazione   per il servizio giornalistico, ritenuto   denigratorio ed offensivo  per la  Sicilia, peraltro scritto  da un siciliano come lui, secondo cui , in sintesi, l’alluvione di Genova è ascrivile alla sola natura malvagia, mentre quello di Messina ai soli siciliani.

A nostro avviso, invece, 7questa mitica e antichissima terra di Calabria, che ha donato il nome Italia all’intera penisola italiana, è uno scrigno prezioso che custodisce molti tesori, talora sorprendenti, che aspettano solo di essere esplorati ed illustrati a tutti i cittadini ed in genere agli uomini sensibili  alla   cultura ed ai   sentimenti, che non hanno gli occhi chiusi da vieti pregiudizi..

Termino questa breve disamina, ringraziando il Prof. De Luca per questo    dono che ci ha voluto elargire con il suo ultimo romanzo a cui auguriamo le  migliori fortune.(  Il romanzo  verrà poi   illustrato dal prof. Caparra).

Un   cordiale saluto ed un grazie a tutti i presenti.  Parghelia, l’ 11.9.18

Gaetano Antonio Bursese

Author: jblasaonde

Lascia un commento